venerdì 7 maggio 2010

Paolo e la donna che insegna

Rivisto con un amico il film sull'astronoma e filosofa Ipazia, uccisa ad Alessandria d'Egitto nella primavera del 415 da fanatici integralisti cristiani, ho memorizzato il riferimento alla Lettera di s. Paolo che il regista fa citare in una predica al vescovo Cirillo nel momento del suo massimo conflitto con Oreste, il prefetto imperiale della città, ex-allievo e devoto di Ipazia, e - arrivato a casa - sono andato a rileggermi quel passo della prima lettera a Timoteo (1Tim, 8-13).

Vi si legge:
"Voglio dunque che gli uomini preghino in ogni luogo, alzando delle mani pure, senza ira né contese.
Parimenti voglio che le donne vestano con decorosa decenza, adorne di pudore e di verecondia, non di trecce, di oro, di perle o di vesti sontuose, ma di opere buone, come si addice a donne che professano la religione.
La donna impari in silenzio, con piena sotto-
missione. Non permetto che la donna insegni, né che domini sull'uomo, ma che se ne stia in silenzio. Adamo infatti è stato formato per primo, poi Eva."

Quest'ultimo passo, come si vede, sembra scritto proprio su misura per Ipazia e sulle sue attività e relazioni. Si comprende benissimo come questo e passi simili delle Epistole di s. Paolo possano essere stati recepiti dai grezzi e fondamentalisti parabalani seguaci del futuro Doctor Incarnationis Cirillo proprio come aperta istigazione a mettere una volta per tutte a tacere quell'ormai scomodissima testimone di un'epoca colta, pluralista e tollerante, anche se forse un po' meno soccorrevole e caritatevole della nuova, che permetteva anche alle donne lo studio e l'insegnamento.

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