venerdì 19 giugno 2009

Dante e la fenice (Dante and the phoenix)

Ai più attenti, tra i frequentatori abituali di questo blog, non sarà sfuggito il fatto che una delle più regolari congiunzioni Giove-Saturno triple, quelle che nel secondo dei tre momenti 'estatici' comportano un perfetto allineamento Saturno-Giove-Terra-Sole, si verificò a cavallo degli anni 1305-1306, cioè al tempo di Dante. Precisamente - aggiungo ora - si verificò alle date 25 dicembre (Natale) 1305 e 5 aprile e 28 luglio 1306.

E' questo proprio il periodo in cui la critica letteraria colloca l'interruzione del Convivio e l'inizio della stesura dell' Inferno, la prima delle tre cantiche che costituiscono la Comedia, il capolavoro dantesco. Ricordate?

"Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
che la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual'era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinnova la paura!"
(Inf I, 1-6)

Il 1306-7 è anche il periodo in cui Dante, 41-42 anni, lasciata Treviso di Gherardo da Camino (e Padova e Venezia), si sposta in Lunigiana e in Casentino, verso le appenniniche sorgenti dell'Arno. E scrive:

"Così m'hai concio, Amore, in mezzo l'alpi,
ne la valle del fiume
lungo il qual sempre sopra me se' forte:
qui vivo e morto, come vuoi, mi palpi,
merzé del fiero lume
che sfolgorando fa via a la morte.
Lasso! non donne qui, non genti accorte
veggio, a cui mi lamenti del mio male ..."
(VitaNova, 61sgg)

Come si legge, è ormai completamente preso, intrigato, catturato dal fiero lume (cioè, mia interpretazione, dalla congiunzione Giove-Saturno), dalle sue caratteristiche e dalla sua storia.

Bene. Tutto ciò premesso, quel che trovo ancora strano in Dante (anche se ho già una risposta alla domanda che mi pongo, ma per ora non ve la dico, anche se è facile intuirla) è come mai lui - che evidentemente sapeva bene dell'uso allegorico del mitico uccello come simbolo di resurrezione - parli poi della fenice nella bolgia dei ladri, quando descrive la 'morte' e 'resurrezione' dell'anima del pistoiese Vanni Fucci, famoso a quel tempo per aver rubato il tesoro del duomo di Pistoia:

"Ed ecco a un ch'era da nostra proda,
s'avventò un serpente che 'l trafisse
là dove 'l collo a le spalle s'annoda.
Né o tosto mai né i si scrisse,
com'el s'accese e arse, e cener tutto
convenne che cascando divenisse;
e poi che fu a terra sì distrutto,
la polver si raccolse per sé stessa,
e 'n quel medesmo ritornò di butto:
così per li gran savi si confessa
che la fenice more e poi rinasce,
quando al cinquecentesimo anno appressa:
erba né biado in sua vita non pasce,
ma sol d'incenso lagrime e d'amomo,
e nardo e mirra son l'ultime fasce.
..." (Inf XXIV, 97-111)

Sperando d'aver dato ai dantisti che mi leggono qualche elemento di riflessione in più ed essendo del resto già passata da un po' la mezzanotte, chiudo qui questo primo post su Dante, augurando a tutti una buona notte! Di Beatrice parleremo un'altra volta .. magari insieme alla Laura del Petrarca!

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