Vorrei oggi mettervi a parte di un interessante brano sulla fenice che ho trovato in un libro di e su Abelardo (sì, Pierre Abélard, 1079-1142, quello della storia con Eloisa) di una decina di anni fa, comprato a metà prezzo qualche tempo fa. Si tratta di: Pietro Abelardo, Dialettica dell'amore Piemme ed., Casale Monferrato 1999 (trad., cura e introd. P. Cereda).
Scrive Abelardo (nel Sermone sulla Pasqua, p. 116 del detto volume):
"Se riferiamo misticamente a Cristo la natura del misterioso uccello (la fenice) ed i modi della resurrezione, vedremo che questi si corrispondono. Poiché si tramanda che questo uccello è unico, di esso non c'è né il seso maschile, né il femminile e non genera piccoli né nidifica. Quando capisce che sta per morire dopo moltissimi anni, prepara un nido ed un sepolcro di rami aromatici, come se volesse coprire con la fragranza il fetore del suo cadavere. Si dice che allora si collochi su questo letto e, nel sole che brucia questi aromi, si sciolga in cenere; dopo alcuni giorni, (...) vestendosi a poco a poco di ali e di piume, si dice che torni allo stato originario. Tutte queste cose non sembrano convenire se non a Cristo. Egli è l'unico uccello, non ce n'è uno uguale, né si lega ad alcuno. Non conosce uno uguale né per dignità né per generazione, si adatta meravigliosamente sia all'eccellenza che alla verginità di Cristo. Chi infatti è unico e così singolare in dignità come Cristo? ... ... ...
La cremazione della fenice non si discosta dal mistero di Cristo (...). Risorgendo, la fenice non conosce la corruzione della carne, poichè in quella gloria di resurrezione ''non si prende né moglie, né marito, ma si è come angeli nel cielo'' (Mt 22,30)"
Quel che è qui evidente ed importante è, a parer mio, che il filosofo passato alla storia non solo per la tragica storia d'amore con Eloisa, ma anche per la sua 'continua ed insaziabile ricerca della verità', sceglie "di far coincidere l'immagine del Salvatore con il mitico animale" (op. cit., p.70) .
Ma su questo e sulla sua quinta, appassionata lettera ad Eloisa, scritta - guarda caso - nel 1127 (op. cit., p. 41) avremo sicuramente modo di ritornare.
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